Tanti nodi del pettine non devono essere sciolti, anche se non si comprende la vera ragione per la quale non debbano “essere sciolti” là dove c’è possibilità di trovare soluzioni adeguate.
Uno di questi “nodi” che l’Italia ha da “sciogliere” è quello che riguarda l’immigrazione clandestina che ormai da tempo è diventata un problema serio ma irrisolto, mentre sui mass media in generale viene trattata come argomento di scontro fra opposte linee politiche, affrontando superficialmente gli aspetti più salienti, quelli concernenti la “pericolosità” della situazione venutasi a creare. Un quadro rispondente al reale stato delle cose lo offre nell’Editoriale del quotidiano online “Analisi Difesa”, il direttore Gianandrea Gaiani, dal significativo titolo “I dati che dimostrano i flussi di criminali tunisini in Italia”.
Editoriale che proponiamo ai lettori de “La Voce dell’Isola” per una ulteriore divulgazione di una “informazione” che, complessivamente, si tende a far passare sotto silenzio in quanto “controcorrente” sulla vulgata quotidiana.
I dati che dimostrano i flussi di criminali tunisini in Italia
di Gianandrea Gaiani
In molti si sono offesi in Tunisia per le parole del ministro degli Interni Matteo Salvini circa la natura malavitosa di buona parte dell’immigrazione illegale giunta in Italia dal paese nordafricano.
Eppure è dalla fine degli anni ’90 che Tunisi specula sui suoi immigrati illegali (molti dei quali respinti e tornati illecitamente in Italia più volte) contando prima sul fatto che Roma ha sempre accolto tutti e poi cercando di ricavare denaro per rimpatriarne almeno una parte.
I 24 mila tunisini sbarcati nel 2011 vennero tutti accolti benché anche allora fosse evidente che tra di essi c’erano molti degli 11 mila fuggiti dalle prigioni durante la “Rivoluzione dei gelsomini”.
Il governo tunisino accettò il lento rimpatrio di parte di quegli immigrati illegali a spese dell’Italia che in cambio distribuì a molti permessi di soggiorno temporanei validi in tutta la Ue, versò 300 milioni di euro ufficialmente per favorire la reazione di posti di lavoro nel paese nordafricano e donò ai tunisini motovedette per il controllo dell’immigrazione illegale.
Che tra i clandestini giunti in Italia vi siano moltissimi criminali lo dimostrano i fatti di cronaca, le evidenze delle forze dell’ordine circa la crescita esponenziale delle attività gestite dalla mala nordafricana e nigeriana, droga in testa.
E che i tunisini siano in ”pole position” in questa classifica lo confermano molti elementi. Nel giugno 2017 il presidente della Commissione dei tunisini all’estero, Ibtissem Jbabli, rese noto che dei 3.246 cittadini tunisini imprigionati all’estero ben 2.037 (il 67%) erano in carcere in Italia, soprattutto nei penitenziari di Genova, Milano, Palermo e Napoli e per lo più per reati di droga; stupro, furto; omicidi; traffico di esseri umani ed immigrazione clandestina.
Per dare un’idea delle dimensioni del problema basti pensare che la Francia, ex potenza coloniale dove vive la più grande comunità tunisina all’estero, ospita nelle sue carceri solo 522 tunisini, la Germania 230.
Del resto nell’ultimo anno l’aumento dei flussi illegali dalla Tunisia ha coinciso “casualmente” con ben due decreti svuota-carceri del governo.
Che tra i tunisini non ci siano solo stinchi di santo lo dimostrano poi le periodiche devastazioni del centro d’accoglienza di Lampedusa, vandalismo che provoca ogni volta danni gravi ma favorisce l’imbarco degli “ospiti” su un traghetto che, invece di rimpatriarli, li sbarca a Porto Empedocle da dove possono andare dove vogliono.
L’Italia resta quindi esposta al ricatto delle violenze dei migranti illegali e dei loro Stati di origine ma solo perché continua ad accogliere chiunque paghi trafficanti.
Se l’instabile Libia è in grado con l’aiuto italiano di fermare migliaia di clandestini che la Guardia costiera di Tripoli affida poi alle agenzie dell’Onu per il rimpatrio, non si comprende perchè la stabile Tunisia non possa provvedere a riportare immediatamente sul suolo nazionale i clandestini intercettati in mare o riusciti a sbarcare in Italia.
Specie dopo le decine di aerei, elicotteri e motovedette ricevuti negli ultimi tempi, soprattutto dagli Usa, per contrastare il terrorismo ma utili anche a pattugliare coste e spazi marittimi.
Ieri il ministro dell’Interno della Tunisia, Lotfi Brahem, è stato destituito senza spiegazioni ma è impossibile non notare che la rimozione è giunta subito dopo il naufragio di un barcone al largo di Sfax nel quale domenica hanno perso la vita almeno 71 migranti illegali, quasi tutti tunisini.
Secondo responsabili del ministero dell’Interno citati dalla stampa locale, in Tunisia nei primi cinque mesi del 2018 sarebbero stati fermati circa 6mila migranti che volevano raggiungere illegalmente l’Italia, a fronte di un dato che nello stesso periodo dell’anno scorso non aveva superato le poche centinaia.
Il 3 giugno il presidente del Forum tunisino per i diritti economici e sociali, Massoud Romdhani, ha ammesso che “la pressione migratoria in Tunisia è “decuplicata” rispetto al 2017 rivelando che nel primo trimestre del 2018 i migranti tunisini sono stati oltre 3mila mentre l’anno scorso in oltre 15 mila hanno tentato di raggiungere l’Italia.
Di questi 6.151 sono stati registrati dalle autorità italiane, 3.178 sono stati bloccati dalla polizia tunisina e 5.700 sono “emigrati invisibili”.
Persone che sono probabilmente giunte in Italia grazie agli “sbarchi fantasma” effettuati nottetempo con piccole ma efficienti imbarcazioni che portano sulle coste siciliane qualche decina di persone che fanno poi perdere le loro tracce.
Un fenomeno che lo stesso ministro Marco Minniti definì pericoloso per il rischio di infiltrazione di elementi criminali e soprattutto jihadisti, tenuto conto che la piccola Tunisia ha offerto al Califfato ben 6 mila foreign fighters (e secondo Tunisi altri 27mila sono stati bloccati prima che partissero), più di quanti ne siano partiti dall’intera Europa.
Un rapporto dell’Interpol indicò che solo tra luglio e ottobre dello scorso anno sarebbero giunti in Italia almeno 50 foreign fighters, tutti tunisini.
Del resto degli 800 foreign fighters rientrati in Tunisia all’aprile 2017 e individuati, solo 190 erano stati incarcerati, come affermò il ministro dell’Interno, Hedi Mejboub
L’emergenza migratoria lungo le “autostrade del crimine” nel Mediterraneo non è quindi risolvibile con maggiori aiuti economici a Tunisi o ad altri Stati africani. Meglio sarebbe invece condizionare tali aiuti (e quelli elargiti dalla Ue) allo stop ai flussi migratori illeciti e al rimpatrio immediato di tutti i clandestini presenti in Italia.
(fonte Il Mattino/Il Messaggero del 6 giugno)